Laboratorio di Progettazione Architettonica 4 _Paolo Alessandri
domenica 15 luglio 2018
giovedì 7 giugno 2018
lunedì 21 maggio 2018
domenica 6 maggio 2018
Partenership al progetto
Vetri&Fermenti
Centro specializzato sulla produzione della birra e nello smaltimento eco-sostenibile del vetro.
Intervista
Per la partnership ho intervistato Giacomo, responsabile del birrificio Eternal City Brewing.
1:
Ciao Giacomo, parlami un po' di te e dell’attività di cui ti occupi.
Intanto siamo 5 soci, ognuno con una mansione specifica.
Siamo un birrificio artigianale e produciamo birra per pub, locali e per la
vendita in sede.
2:
entrando nel mondo “Birra”, e di tutto ciò che ruota intorno ad esso, cosa ti
piace del tuo lavoro? Cosa ti appassiona nello specifico?
È un lavoro faticoso ma avendo a che fare con la birra e col
"divertimento" è naturale avere un sorriso più presente che magari in
altri lavori.
3:
Giacomo, nel percorso della tua attività, quali sono stati gli ostacoli, gli
imprevisti e le difficoltà, anche quotidiane, da affrontare per arrivare dove
sei ora?
Fare impresa in Italia non è cosa semplice. Innanzitutto il
reperimento dei fondi necessari per avviare l'attività, la burocrazia, le
lungaggini... inoltre fare una buona birra è anche e soprattutto esperienza.
4:
in questo Laboratorio Universitario, mi sto occupando di una struttura che
possa unire un ampio spettro di fruitori calamitati dal fermentato. In aderenza
a questo, ho pensato che sarebbe opportuno integrare il progetto con un centro
di recupero e riutilizzo creativo del vetro, chissà, creando anche una linea
personalizzata di bottiglie e boccali. Ti piace come idea? Hai degli spunti per
integrare le due attività?
L'idea è molto "creativa" e non può non piacere.
Al momento i costi di riciclo surclassano l'acquisto di bottiglie nuove ma
chiaramente una personalizzazione rende molto allettante il tutto. Sarebbe
carino sviluppare un modello di bottiglie che richiami la città di Roma.
L'idea
sagoma e volumetrie |
Dall'antichità al XIX secolo, il vetro è stato prodotto esclusivamente in forni a crogiolo. questi avevano una struttura circolare con tre camere sovrapposte, quella inferiore serviva alla combustione, in quella centrale erano disposti i crogioli mentre, quella superiore serviva da camera di ricottura.
l'evoluzione più importante nella struttura dei forni è avvenuta nel XIX secolo con l'introduzione del gas di gasogeno (forno Siemens). Questo metodo aumentò consumo di vetro e i crogioli arrivarono a contenere fino a cinque quintali del materiale.
per evitare lo spreco del calore, i forni sono dotati di rigeneratori, che hanno la funzione di riscaldare l'aria comburente necessaria per la combustione.
Forni a crogiolo di piccole dimensioni, sono usati tutt'oggi per la produzione di piccoli oggetti in vetro, sono provvisti di ricuperatori metallici che preriscaldano l'aria a 500° ed usano come combustibile olio denso e gas.
Nei forni a crogiolo, la fusione, avviene nel tempo fino alla temperatura di 1500°. La fusione dura dalle 6 alle 10 ore, per poi riportare il vetro a 1200° (fase di riposo) in attesa di essere lavorato. Per limitare i tempi morti, si produce il giorno e si inforna di notte. I materiali usati sono mattoni di silice per la volta, materiale silico-alluminoso per le pareti laterali e materiale elettro-fuso per il banco.
Organizzazione piano primo |
Organizzazione spaziale esterno |
sabato 7 aprile 2018
Le onde di Aalto
Alvar Aalto
Vissuto nella prima metà del 900, Aalto segna una netta e
piacevole evoluzione del funzionalismo, che in quegli anni era sperimentato da
architetti del calibro di Gropius, Le Corbusier e Terragni (giusto per citarne alcuni).
Staccandosi
dalla storicità a cui si rifacevano i propri colleghi, Aalto basa la propia
architettura rispetto alla sua terra materna.
La natura Finlandese fatta di grandi laghi e boschi
costituisce l'imprinting dell'architetto, il quale cerca di riproporla in
tenera età tramite la pittura. Profondamente legato a questi paesaggi, scopre
un'architettura fatta di onde e linee sinuose, che sperimenta anche attraverso
le curvature del legno.
Seppur molto vicina alla bianca e rigorosa architettura
funzionale del tempo, Alvar Aalto propone un filone architettonico molto più
legato al rispetto dei sereni paesaggi nordici.
Sanatorio di Paimio
Il sanatorio antitubercoloso è situato a sud della
Finlandia. Costruito nel cuore di un bosco di pini, la grande salubrità
dell'aria doveva aiutare i malati durante la loro guarigione.
Il grande complesso, proprio per volontà di Aalto, tende a
richiamare un edificio per abitazioni, anziché una struttura ospedaliera.
Aalto si occupò della progettazione di tutto il mobilio interno |
Costituto
dalla rotazione di 3 grandi solidi, attorno ad una cerniera, la struttura si
articola in 3 grandi ali, rispettivamente suddivise per funzioni, per limitare
il disturbo dei pazienti.
Particolare attenzione è stata riposta al sistema climatico
dell'edificio.
Aalto progetto grandi terrazzi per dar modo ai malati di respirare aria salubre |
Per cominciare i flussi di aria calda sono sempre indirizzati
verso le parti inferiori dei pazienti e mai verso il viso; Le camere sono
disposte in maniera tale da poter captare (anche attraverso un sistema di
bucature asimmetriche) la maggior quantità di luce solare mattutina, filtrando
a dovere i raggi solari del pomeriggio (meno salutari).
Inoltre le camere sono arricchite da colori vivaci e
sgargianti, basandosi sul principio della cromoterapia.
Durante una conferenza del 1956, Aalto illustrò in questo modo i capisaldi di questo monumento del funzionalismo:
“Io scopo primario dell'edificio è di funzionare come uno
strumento medico ... Uno dei requisiti di base per guarire è quello di offrire
una pace completa .... Il disegno delle stanze è definito in base alle forze
limitate del paziente, sdraiato a letto. Il colore del soffitto è scelto per
dare tranquillità, le fonti di luce sono al di fuori del campo visivo del
paziente, il riscaldamento è orientato verso i suoi piedi e l'acqua esce dai
rubinetti senza fare rumore, per far sì che nessun disturbi il proprio vicino”.
1929: le soluzioni di una crisi comune
Il crollo della borsa di
Wall Street del 1929 segna inevitabilmente tutto il decennio degli anni 30. Il
sistema meccanizzato industriale, che fino a quel momento era la vera forza
motrice dell'economia,viene messo in discussione.
A poco a poco la Bauhaus
viene defilata dalla preponderante forza del nazismo, fino alla definitiva
chiusura nel 1933.
In quegli anni, il CIAM
(congresso internazionale dell'architettura moderna) lavora ad un nuovo
assetto, il quale prende in considerazione aspetti sociologici e
comportamentali di quella società, che porterà poi alla nascita del movimento
funzionalista.
La crisi nella Americhe è sfruttata come trampolino di lancio di nuove tendenze. Si forma così l'International Style, fatto di astrazione, componenti meccanici ed una grande purezza formale. Il massiccio uso di vetro ed acciaio inoltre, concorrono alla decisa accettazione, da parte della società, di questo stile che risulta più economico ed efficiente.
In parallelismo a quanto
descritto, in Germania si cercava una congiungente tra la storicità dei luoghi
ed il grande senso di appartenenza decantato dal nazismo. Tetti a falde per le
abitazioni e fondali di classicheggianti, coronavano gran parte dell'Europa e
della Russia.
Questo decennio è
caratterizzato fondamentalmente da due approcci: uno più radicato nelle origini
e della maestosa storicità europea; l'altro in chiave più avanguardistica mira
a nuovi orizzonti non ancora solcati.
Tre architetti possono
riassumere in maniera chiara approcci diversi ala crisi. Parliamo di Frank Loyd
Wright, Alvar Aalto e Giuseppe Terragni. Questi tre simboli dell'architettura
individuarono problemi e questioni comuni risolvendole però in maniera
nettamente versa per luoghi, idee e situazioni a loro più vicine.
mercoledì 4 aprile 2018
Imprinting
I miei luoghi
Il mio imprinting non deriva da uno specifico avvenimento
che ancora porto in memoria, bensì dalla quotidiana frequentazione dei luoghi
in cui sono nato e tutt'ora vivo.
Si tratta di Monterotondo, cittadina facente parte della
città metropolitana di Roma che ad oggi conta circa 40'000 abitanti.
Di ricordi ne ho tanti e con gli anni ho capito cose che
hanno anche mutato la mia visione riguardo certe situazione, ma sicuramente è
inevitabile descrivere una sensazione che, vivendo in questa città, ho avuto sin
da piccolo: Familiarità.
Perché passeggiando
per il "paese" , da bambini così come in età adulta, ho sempre avuto
l'impressione di non essere mai uscito di casa. Lo zerbino del portone non
segnava una separazione tra la sfera domestica e la città, bensì un
prolungamento della casa stessa. Gran parte del merito è sicuramente
riconducibile alla conoscenza tra la maggior parte degli abitanti, infatti vivendo
quotidianamente il paese, risulta quasi impossibile non conoscere la maggior
parte della popolazione Eretina.
Nonostante questa situazione molto familiare però, la
configurazione morfologica degli ambienti di questa terra, rimanda
inevitabilmente alla casa. Le strade,i vicoli e le piazze, almeno quelle
facenti parte della zona storica, sono sempre perimetrale da una schiera di
edifici visivamente e fisicamente molto permeabili. I piani che si affacciano
su strada sono infatti quasi sempre adibiti a negozi e servizi e concorrono a
far diventare la strada una vera e propria zona, non di passaggio, ma di sosta.
Le abitazioni non sono mai troppo alte e non ci si ritrova mai a dover alzare la
testa per mirare il cielo.
Proprio riguardo il forte rapporto con la scala umana, c'è
un oggetto che, pur discostandosi dalla fitta trama di edifici bassi, rapisce
il mio sguardo ogni volta passo nei suoi paraggi.
Devo specificare che Monterotondo nasce si in età Romana,
sotto il nome di Eretum, ma si sviluppa e comincia ad essere abitato in maniera
massiccia nel X secolo, in piena età Medievale. E' inevitabile quindi che il nucleo storico, oltre ad avere
una maglia a raggiera, sia dominato da una castello, Palazzo Orsini appunto.
Ed
è proprio nel castello che risiede quest'oggetto magico che cattura sempre la
mia attenzione. Si tratta del maschio, questa torre che imponente si innalza
sul nucleo cittadino. Già da bambino,
forse per un latente senso di appartenenza a quei luoghi, mi affascinava
tantissimo questa Torre così alta e ben posizionata a protezione di tutti noi.
Altro aspetto, che sento di dover descrivere in quanto molto
presente ed apprezzato, sin dalla più giovane età, è la massiccia presenza di
aree verdi.
Nulla di speciale, ma il paesino è circondato da una miriade
di sinuose colline ricoperte da tappeti verdi. La vicinanza al Tevere ed alla
consolare Via Salaria hanno permesso uno prolifico sviluppo che però non ha
intaccato l'anima rurale del paese. Infatti, in breve temo, ci si ritrova dalle
ripide scalinate ricoperte di ciottoli di fiume al contatto diretto con le
campagne sabine. Le piccole tenute agricole, che possono vedersi in lontananza,
cadenzano in maniera quasi regolare la superficie naturale composta da tanti
quadrilateri di trame diverse, dati dalle diverse piantumazioni del suolo.
Tutti questi aspetti concorrono alla creazione di una piccola
realtà che si ripropone, con caratteristiche diverse, in quasi tutte le zone
della penisola. Non ho descritto nulla di straordinario e fuori dal comune, ma
essendo originario di questi posti, ci tenevo a soffermarmi su semplici
situazioni che sin da piccolo hanno attirato la mia attenzione.
La visione dei miei luoghi |
PIRAMIDALE |
OMOGENEOProposte progettuali su UnLost Territories setacciate tramite l'IMPRINTING |
lunedì 26 marzo 2018
UnLost Territories : Tor Sapienza
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